giovedì 27 dicembre 2007

IL MISTERO DELL'ESISTERE



PROLOGO
Riferendosi all’opera di Giorgio De Chirico, René Magritte ebbe a dire un giorno che si trattava di “una nuova visione, nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e intende il silenzio del mondo”. L’artista belga
(nato nel 1898 e morto nel 1967) incontrò l’opera del teorico ed inventore della Metafisica nel 1925; e da allora per lui nulla sarebbe più stato come prima. Il giudizio appena citato venne formulato da Magritte nel corso di una conferenza tenuta il 20 novembre 1938 al Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa. Poche parole in cui egli sarebbe riuscito a sintetizzare il cuore
più profondo della propria prospettiva teoretica; esplicitando altresì il presupposto di una articolata e instancabile riflessione, assolutamente imprscindibile per chiunque volesse o voglia ancora tentare di comprendere non solo, o meglio non tanto, la forma della sua produzione artistica, quanto la necessità che si agita, ossia agisce ossessiva ed implacabile, in
ogni determinazione della sua pratica pittorica. D’altro canto, riteniamo che proprio in questa folgorante ed enigmati-
ca espressione sia racchiuso il senso più profondo di una prospettiva che da tempo andava indelebilmente segnando buona parte del pensiero occidentale. In ogni caso, prima di confrontarci direttamente con la produzione teorica magrittiana, cercheremo di fare chiarezza sul senso del fin troppo spesso evocato legame tra la produzione pittorica dell’artista belga e uno
dei più straordinari topoi speculativi del Novecento – ossia, la scrittura psicoanalitica di S. Freud (anche nella produzione teorica freudiana, d’altronde, e con non minor radicalità, un’articolata e complessa vicenda storica avrebbe finito per attingere la propria akmé).